In questi giorni ho letto su Facebook una polemica sul concetto di maternità imperfetta. Si è letto e riletto di mamme inette e sgarrupate che ironizzano sulla propria imperfezione e questo concetto avrebbe un po' stufato.
Della serie faceva ridere all'inizio, adesso si pensi a fare le mamme a modino, che la genitorialità è una cosa seria.
Ma va?
A parte che ridersi addosso non significa per forza prendere le cose sottogamba. Sdrammatizzare può servire a smorzare le proprie fatiche ma questa è soltanto la mia opinione.
Prendiamo me, per esempio: io son tutto fuorché una mamma impeccabile. Perché mi arrabbio. Perché parlo troppo. Perché spesso sono da sola. Perché - da figlia unica - non so comprendere fino in fondo le tensioni tra fratelli. Ma a essere una buona madre ci provo eccome.
Alle volte fingo di guardare i cartoni animati, ma ho l'iPhone in mano e la testa altrove. Mea culpa. Altre volte esclamo dei maddai a casaccio, per far vedere che sto seguendo: ma loro mi beccano sempre e mi richiamano all'ordine. Mea maxima culpa.
Qui racconto di quando dopo una giornata da buttare, mi sono tuffata sul divano e ho sfilato di nascosto i cioccolatini del 7, 15 e 23 dicembre dal calendario dell'Avvento (quello homemade, quindi li ho già rimpiazzati). Ma per il resto sono una persona normale, una madre che si impegna, e anche molto.
Questo per dire che si sceglie che cosa raccontare. Che si prova a essere mamme attente e amorevoli. Che i nostri figli prendono 10 e tante faccine sorridenti. Che li portiamo sempre al parco e anche ai musei. Che gli leggiamo le favole da quando avevano 3 mesi. E che sappiamo a memoria le battute di Cars, Cars Toons e Niko la renna volante però magari ce lo teniamo per noi perché le mamme che se la cantano e se la suonano sono un tantino fastidiose.
Ecchesaramai se negli anni continuiamo a dirci che la maternità è anche una serie di cose pesanti, insieme a tutto (al tanto) di bello che c'è. Serve a condividere esperienze, che male non fa.
E, a proposito di condivisioni, abbiamo avuto il primo colloquio con le maestre.
Regola numero uno per il colloquio con le insegnanti è portarsi dietro il marito/compagno/amico/o comunque un testimone di sesso maschile. Sempre. Perché se tu esci da lì convinta di aver sentito cose che non ti sono piaciute, lui può sempre dirti ma no, guarda che non è proprio così. Gli uomini - si sa - vanno all'essenziale. Noi donne viviamo di dettagli e, a volte, divaghiamo.
Qui parlerò delle maestre d'italiano che sono quelle che hanno più ore nelle singole classi.
Di qua una maestra dolce e rassicurante. Madre di quattro figli. Tutti maschi. Un mito a prescindere. Ci fa raccontare, ci domanda del rapporto tra gemelli e ci parla di un alunno modello.
Di là una maestra un pochino ingessata che stila un resoconto sulla didattica e poco più. Nell'ambiente la chiamano Ansia perché vive nel terrore che i bambini si facciano male. Dopo un brainstorming mammesco, si è deciso che sarà pure ansiosa ma certamente attenta. (Facendo parte della categoria, sostengo che a un ansioso non sfugga nulla. L'ansioso riesce a vedere anche quello che non c'è e che non potrà mai accadere ma questa è un'altra storia).
Qui l'alunno non è proprio perfetto. Nel senso che si distrae spesso: una volta gli cade la matita, un'altra la gomma e così via. E non fatico a crederci. Ieri è tornato a casa con un taglio di venti cm nella parte interna dello zaino.
Qui l'alunno non è proprio perfetto. Nel senso che si distrae spesso: una volta gli cade la matita, un'altra la gomma e così via. E non fatico a crederci. Ieri è tornato a casa con un taglio di venti cm nella parte interna dello zaino.
Scusa ma come è accaduto?
Mamma, ti spiego: c'era un buchino sullo zaino poi per sbaglio mi è caduta la forbice e mentre la raccoglievo si è infilata lì e guarda cosa è successo...
Eh, sì. Sono cose che capitano. :-))